La goccia che fa traboccare…il vaso.

Quand’è squillato il telefono, la gatta – che sonnecchia sopra il divano, in salotto – ha dischiuso svogliatamente le palpebre e alzato la testa con fastidio, com’è solita fare quando rivendica la discendenza divina e rimpiange i tempi in cui l’Egitto era patria di faraoni. Ma benedetta figlia di Ra!

Al terzo trillo rispondo. Una voce virile, roca come da postumi di tabagismo selvaggio, mi investe: “Ho letto che cerca un’assistente. Mi dica!”

“No, mi dica Lei!”

Ruggisce, forse per schiarirsi la gola. Poi, attacca: “Io sono una OSS. Una professionista, insomma. Non una badante…” mentre la voce scema verso un tono di disgusto.

Incalzo: “Qual è il suo nome?”

“Sono Rosa. Ho 58 anni.”

Spiego a grandi linee quali sono le mansioni e le abilità richieste, e tutto ad un tratto una domanda ben scandita, seguendo la traiettoria di un proiettile, penetra il mio orecchio e raggiunge il timpano: “Lei è incontinente?” piranha-303345_1280

Sollevo lo sguardo sul pianoforte e deglutisco, come a ingoiare l’incredulità: “Mi scusi, credo di non aver capito.”

E, allora,  la voce raspante di fumatrice incallita esplicita: “C’ha il pannolone?”

Respiro a fondo e, dopo aver pizzicato un lembo di labbro tra i denti, avvicino il telefono alla bocca affinché non si perda nemmeno un accento delle mie parole.


Innanzitutto, complimenti per la professionalità! Senza farne vanto, posso affermare di avere il controllo completo degli sfinteri, anzi potrei consigliarLe qualche esercizio per l’incontinenza verbale di cui soffre. Oltretutto, è chiaro che le parole anziché dall’ugola Le escano da ben altro orifizio. 


Questo è ciò che mi attraversa i pensieri, come un lampo. Tuttavia, sintetizzo: “Lo avrai tu il pannolone, stronza! Ché vista l’età, se riesci a stare in coda per il bagno senza inumidirti le mutande puoi credere nei miracoli.” 

     largeSto diventando insolente, non v’è dubbio. In ogni caso, l’assistenza alla persona non è un lavoro facile. Ma come scrissi tempo addietro, sovente mi chiedo chi sia realmente l’assistito e chi l’assistente.

Si susseguono episodi di dubbia natura. Dal giovane architetto che, volendo gettarsi in un’esperienza lavorativa diversa, si candida come mio assistente, esordendo con: “Certo, poi devo capire quale sia la sua disabilità, ma visto che mi ha risposto al telefono…sì, insomma…ecco…” Tanto che per evitare il prolungarsi di un silenzio imbarazzante, devo intervenire: “Parlo?”

Ecco, sì…intendevo questo…“e, chiocciando, mi ringrazia per avergli risparmiato la forca.

Alla rampante signora di mezza età che in odore di lenocinio si propone per il lavoro, ma alle sue, insostenibili condizioni soldi di cioccolatoeconomiche, e quando replico domandandole se, per caso, voglia anche la vasca idromassaggio in camera, mi risponde offesa sostenendo che i soldi nella vita non sono tutto…

Senza alcuna ombra di alcun cazzo di dubbio, voglio essere pagata per svolgere il ruolo dell’assistita!

Chissenefrega!

Certo, la giornata non è iniziata nel migliore dei modi: hai aperto gli occhi sul ghigno del personal trainer che, tra un cenno di diniego e una risatina, ti riporta alla memoria l’appuntamento di cui ti eri dimenticata. Con noncuranza, hai sbadigliato per un quarto d’ora sul suo orgoglio ferito, mentre passavate dallo stretching al pompage, attraverso le tortuose vie della cocciutaggine muscolare.

Cazzo! Rispondono prima gli impiegati dell’803 164 ad una chiamata all’ora di punta, che i miei muscoli alla stimolazione nervosa!” pensi ad alta voce e nel bel mezzo della riflessione squilla il telefono e ti assale il dubbio di aver dimenticato un altro appuntamento: “Chissenefrega!” concludi, mentre ti accingi a rispondere, sollevata dal fatto che l’apparecchio telefonico trasmetta solo la tua voce e non il respiro impastato di sonno non proprio da conversazioni tête-à-tête.  phone-booth-758751_1280

È la tua assistente che, mezz’ora prima di iniziare il turno, ti chiede di sostituirla perché non si sente bene. In meno di trenta minuti dovrai trovare qualcuno disponibile, o in alternativa convincere l’altra assistente a restare – che, nel frattempo, ha già indossato il soprabito e impugnato la valigia ed attende con ansia la fine del lavoro. In quel preciso istante, non un attimo prima, ti volti verso lo specchio e a contornare due occhiaie da panda che sembrano disegnate con una pennellata di fuliggine, ti accorgi di un capello bianco che spunta dalla chioma arruffata, dritto come un’antenna pronta a captare segnali intergalattici. Allora guardi con più attenzione e lo vedi, impavido e circondato da una manciata di gemelli albini, tutti schierati e rivolti al cielo come i radiotelescopi del progetto SETI.

Ma per fortuna, poi bussano alla porta e quando vai ad aprire, ad attenderti, c’è chi ti saluta con un sorriso e in mano un meraviglioso mazzo di rose rosse. E allora ti viene da piangere. Ma per la commozione. foto1