Il fluido della metamorfosi.

Il ricordo è così nitido che pare di riviverlo, eppure è già trascorso un mese. Lei è entrata nella mia camera con una sicumera da caterpillar, sventolando il camice bianco ad ogni passo: “Fattene una ragione, questo potrebbe essere il tuo futuro!” Ha scaraventato un pesante punto esclamativo nella stanza e se ne è andata, mentre l’opulenta affermazione cercava, scricchiolando, un equilibrio tra il pavimento e la porta. Se ne è andata lasciandomi in lacrime e senza conforto. La questione che, sì, era stata messa a tacere da un perentorio segno di punteggiatura, continuava ad essere una faccenda di tubi che penetravano in profondità, intersecavano il corpo, aprivano e svuotavano. E restava anche una questione di emozioni che, seguendo lo stesso ciclo, penetravano, intersecavano, aprivano e svuotavano. Fica e cuore. Muscolo e cervello. Ricordo di essermi sentita stuprata. E ricordo di aver compreso solo più tardi, dopo aver affrontato con lo spirito di una vittima quel carosello di mani e di guanti e di gambe aperte – e di tubi, certo – che quel punto esclamativo – un fallo, un’erezione – era stato realmente un abuso.

Oggi al CTO di Torino, ho ricordato il camice bianco dell’Unità Spinale del Niguarda. Ho ricordato non per analogia, semmai per contrasto. Il medico del CTO ascolta, spiega, risponde alle mie domande. Con pacatezza. E infine rassicura: “Si prenda il tempo necessario per decidere il da farsi. Sarà sempre solo lei ad avere l’ultima parola sulla terapia che intende seguire.

Dalla scorsa estate la mia vita è di nuovo cambiata. Drasticamente, come sempre.  Un mattino mi sono svegliata e tutto non era più lo stesso. E poi la corsa in Pronto Soccorso, le settimane in ospedale. E il cambiamento aveva anche fare con qualcosa che veniva da dentro, come i sentimenti. Solo che aveva una consistenza, un colore: aveva a che fare con la nostra matrice, l’elemento essenziale alla vita, l’acqua. Il fluido della metamorfosi. Il mio vissuto non conosce mezze misure, è sempre un tutto bianco o tutto nero. Come i miei sentimenti, d’altronde. Tanto che verrebbe facile convincersi che il veto a una giusta proporzione sia scritto nel codice genetico.

Forse per questo non appoggio quel tacere diplomatico e borghese che è dei salotti e non dell’agorà. E, quindi, non taccio. Ché il medico non deve mai sostituirsi al boia. Altrimenti non è più medico bensì, appunto, un tagliagole. In quella questione aggrovigliata di tubi e di emozioni, esigo una voce che sappia spiegare anziché imporre, degli occhi che sappiano vedere anziché raggelare, una conoscenza volta a comprendere prima che sentenziare.

C’era il sole, quel giorno su Milano. Oggi, invece, su Torino grava un cielo grigio e denso. Era un giorno di fine estate, ancora tiepido e piacevole, quello. Oggi, invece, l’autunno entra nelle ossa, sferza la carne. Eppure oggi non ho desiderato morire.

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