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A thirsty girlie

As near the lake there were very big mosquitoes (if they had had feathers, they probably would have been birds…) we moved from Viverone to Roppolo

Devo ad una focosa zanzara l’avermi svegliata dal sonno in riva al lago. Una di quelle note zanzare a cui mancano le piume per essere uccelli. Questa, poi, anche invadente come una suocera. Sicché, infastidita, ho richiamato Stefania al dovere di assistente e insieme siamo tornate all’auto per ripartire in direzione di Roppolo, un minuscolo centro abitato sulla via Francigena, la strada che un tempo i pellegrini provenienti dall’Europa centrale e in particolare dalla Francia percorrevano per raggiungere Roma.

Dopo pochi km, giunte a destinazione, abbiamo parcheggiato in una piazzetta adombrata dalla chiesa e da una manciata di case, forse costruite sui resti dell’antico borgo medievale. Dietro i tetti s’intravedeva l’antico castello, un tempo fortezza, eretto sulla sommità della collina per dominare un vasto taglio di terra.

Roppolo is a village located on the southern slopes of Ivrea glacial ridge, west to the Lake of Viverone. It is home to a castle, largely built during the 14th century.

Roppolo è un paese di novecento anime, un piccolo centro rurale sprofondato nel silenzio. Scese dall’auto abbiamo constatato che si udivano soltanto le nostre voci. Ci siamo, quindi, incamminate lungo la stretta strada che conduce al castello, salendo in mezzo ai vigneti, agli alberi da frutto e alle rade abitazioni con i balconi e i giardini traboccanti di ortensie, begonie e gerani. La strada è tutta in salita ed è battuta dal sole nelle ore pomeridiane. Stefania ed io l’abbiamo percorsa a diversi metri di distanza l’una dall’altra: io innanzi, ché dovendo banalmente manipolare un joystick non avvertivo grande fatica; lei dietro, arrancante per via di una frattura al piede e di un paio di scarpe strette che lo strizzavano come un’oliva da frantoio.

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The hipster lobster

As my wallet is empty like the Gobi desert, this summer I’m going to travel less than last year, but I can’t stand to stay at home

È tempo di vacanze. Quest’anno, tuttavia, limiterò i viaggi a qualche weekend, visto il deserto del Gobi che ho nelle tasche. Non posso farne a meno, però, di partenze e di ritorni, di strade nuove da esplorare, di confini da raggiungere.

Per trascorrere, quindi, una domenica all’aperto – e siccome l’eco nel portafoglio alla fine del mese avvilisce ogni fantasia su mete più onerose – ho infilato nello zaino una pizzetta e una bottiglia d’acqua comprate ad un chiosco e, calati sul naso gli occhiali sbiechi aggiudicati per pochi euro al mercato di Porta Palazzo, Stefania ed io siamo partite alla volta del lago di Viverone.

The lake of Viverone is quite a small lake between Milan and Turin with the Alps in the background.

A dire il vero non è una meta da me particolarmente apprezzata, ma sorvolando sull’orda di pensionati e di famiglie con pargoli chiassosi in villeggiatura, resta una piacevole gita lacustre. Certo, sarebbe meglio passar sopra anche alle frotte di zanzare che se avessero le piume e gracchiassero assomiglierebbero ai corvi di Hitchcock, comunque gli argini del lago offrono pittoreschi spazi per sostare. Sicché, essendo arrivate proprio all’ora in cui gli zuccheri nel sangue calano vertiginosamente e avendo cominciato ad intravedere fonti alimentari nelle anatre selvatiche e finanche nei detriti galleggianti sulla superficie dell’acqua, ci siamo accampate in un fazzoletto di prato lungo la sponda del lago. Soffiava una piacevole brezza e lo sciabordare dell’acqua richiamava il sonno. Tutto era in sintonia. Anche gli audaci amoreggiamenti di una coppia di ragazzini dietro di noi con la prebenda di un gruppetto di ottuagenari travolti da slancio voyeuristico.

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as the train left…

I remember the Porta Nuova train station, the scent of sweets outside the coffe shops.  Actually,I remember the journey that changed my life.

Della stazione di Porta Nuova ricordo l’aroma dei chicchi di caffè tostati e dei croissants che invitava ad entrare nelle caffetterie sempre affollate. Di solito ad ogni partenza mi fermavo alla boulangerie, all’ingresso della stazione, per una tazza di tè e una pasta dolce.

Tuttavia, quel mattino ero in ritardo: il taxi che era venuto a prendermi in Canavese non era attrezzato per il trasporto di persone in carrozzina, sicché dopo alcuni maldestri ed inutili tentativi per farmi entrare – dapprima reclinando la carrozzina, poi piegandomi in avanti la testa e infine spostando un sedile – eravamo corsi alla stazione del paese, riuscendo appena in tempo ad oltrepassare il passaggio a livello prima che giungesse il treno.
Ero accompagnata da Luca, il mio assistente, e fremevo nel constatare il ritardo della canavesana. Il cielo era parzialmente coperto e nell’aria si respirava già l’odore dell’autunno e delle foglie invecchiate.

Salire era sempre una scommessa con il destino. Le carrozze erano dotate di pedana estraibile, ma due volte su tre quest’ultima s’inceppava e non c’era verso di farla funzionare.

Un secondo disguido nello stesso giorno sarebbe stato troppo, anche per il mio livello di tolleranza, notevolmente alto.

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from Florence to Turin

I didn’t know what was going to happen soon

Tutto ha avuto inizio durante un viaggio a Firenze. L’idea era quella di trascorrere un weekend nella città che più amavo, dopo la nostalgica Torino s’intende, sicché mi ero portata appresso un piccolo bagaglio ed ero partita in una tarda mattina di settembre. Non ero sola. Con me avevo portato colui che presto avrebbe cambiato la mia vita drasticamente. Come tutti i cambiamenti repentini, incoscienti anche, sarebbe precipitato sulla mia vita come una pesante costruzione minata alle fondamenta: con un crollo verticale fragoroso e fatale.
Ho deciso il mio futuro in poche ore, prima che le luci dell’alba rampinassero gli occhi.

A distanza di un mese reggevo tra le mani le chiavi dell’abitazione torinese: la mia prima casa! Mia, soltanto mia. Il passaporto per la vita adulta.

Non sapevo ancora, tuttavia, ciò che mi aspettava…