La parola ha un corpo di donna…

ma spero non abbia il mio!

L’invito a parlare del mio romanzo, Nuda Pelle, in occasione della Fiera del Libro di Porto Viro, mi aveva gettata nel dubbio, sperduta come un’anguilla polesana tra le secche: accettare l’invito oppure no? Perché io so, con imbarazzante consapevolezza, di essere programmata per lo spegnimento dopo un certo periodo di inattività, proprio come un elettrodomestico in modalità “Risparmio Energetico”. E, di fatto, avendo scritto il libro diversi anni fa, alla promozione ne avrei preferito il suicidio assistito. Tuttavia, a dipanare i dubbi, conducendomi a una scelta, ci ha pensato lo spirito da negoziatore  – lo stesso che in tenera età mi portò a contrattare una lunga lista di benefici in cambio del mio silenzio circa le confidenze giunte alle orecchie durante i pomeriggi trascorsi da nonna, la quale gestiva un distributore di carburante, ed era solita farmi fare merenda seduta tra la pompa della benzina e quella della miscela. Sicché ho accettato, in primis per l’amicizia e la stima che mi lega a Marialaura Tessarin, Assessore alla C
Cultura del Comune, e, infine, perché ero riuscita a farle promettere che avrei potuto accennare al blog dopo la presentazione del libro, giungendo finalmente a parlare di Vita IndipendenteNuda-pelle-di-Tania-Bocchino_su_vertical_dyn

Così siamo partiti, i miei due assistenti ed io, in una fredda e piovosa mattina di novembre. La mia auto ha il vantaggio di contenere, in uno spazio limitato, un’ampia fetta di Universo, con la Via Lattea più qualche altra galassia superflua che spingiamo a forza dentro l’abitacolo, giusto per scongiurare di restar senza provviste (casomai giungessero pestilenze, carestie e altre calamita naturali). È risaputo, infatti, che durante il viaggio io consumo più zuccheri di quelli consumati da un ciclista in gara per la maglia rosa durante tutte le tappe del Giro d’Italia. Quindi, principio inalienabile è la presenza di cioccolato, biscotti con confetture varie, patatine, cracker al sesamo, al mais o alle olive purché senza sale in superficie, focaccine soffici con o senza farcitura, e infine bevande ipercaloriche che in caso di rimorso – il che avviene una volta ogni due anni bisestili – sostituisco con la versione light.

Comunque sia, intruppati tra le vivande, siamo giunti a destinazione. Parcheggiata l’auto di fronte alla locanda nella quale il Comune aveva riservato una camera per me e per i miei assistenti, ci siamo diretti verso l’ingresso. E lì, davanti a un’ampia vetrata, abbiamo trovato ad attenderci…l’uscio serrato! La locanda era chiusa, ma un foglio affisso alla porta invitava a comporre un numero di telefono per informazioni. Dopo una veloce ispezione sul retro dell’edificio, casomai vi fosse una seconda entrata, tentando financo di scassinare un paio di porte e di suonare un interruttore di corrente credendo fosse un campanello, abbiamo dovuto ammettere che la locanda era, senza ombra di dubbio, chiusa. Sicché ho preso in mano il telefono e chiamato il numero indicato: <<Buonasera, dovremmo pernottare, siamo fuori dalla locanda… >> E una voce maschile dal timbro caldo e gentile ha risposto senza esitazioni: <<Arrivo in cinque minuti! GRASSIE!>>.

Se mai ve ne fossero stati, non vi erano più dubbi che fossimo in Veneto!

D’altra parte, avevo già annusato una pallida certezza nel momento in cui, nei pressi di Verona, la mia assistente – che in più occasioni si era definita una che le inflessioni le assorbe come una spugna – aveva iniziato a chiamarmi “vecia”...E lo aveva fatto con la stessa nonchalance di quando, usciti dal traforo del Frejus, il suolo francese le aveva messo addosso una frizzante voluttà francofona, e da quel momento fino al ritorno in Italia era stato tutto un “Oui”, “Merci beaucoup”, “Excuse moi”.  poster-a3_08-ott-723x1024

Ma dicevo di Porto Viro e della presentazione del libro. L’appuntamento era dentro la sala conferenze della Biblioteca comunale, non molto distante dalla locanda, ma il navigatore, dopo la prima rotonda all’imbocco del paese, si era impuntato a dirci che ci eravamo smarriti nel nulla: metà mappa urbana per lui non esisteva. Quel bieco occhio satellitare ci dava per dispersi! Sicché ci siamo arrangiati, facendo della mia proverbiale faccia da culo una bussola infallibile. E siccome codesta faccia, che ci ha indicato la strada evitandoci di circumnavigare il globo, ha finito con l’infondermi tanta sicurezza, me la sono portata appresso per tutta la serata.

Tuttavia, il pubblico mi ha fatta sentire a casa, accogliendomi in modo del tutto inaspettato. Ho avuto la sensazione di essere in famiglia, benvoluta. La serata è proseguita finché alla domanda: <<Di che colore immagini il tuo futuro?>> a rispondere è stato lo stomaco con una confessione corale: <<Rosso pizza!>>. Allora, tra coloro che erano presenti in sala, è serpeggiato un mormorio, fino a che qualcuno, in un empito di compassione, ha esclamato: <<Marialaura, portala a cena!>>. A quanto pare, la fame mi precede…

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