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Nuda Pelle

           Nella contemplazione dell’immobilità, germogliava il seme creativo. Dalle linee imperiture che distinguono le forme e danno alle figure un nome, segno dopo segno affiorava l’idea del movimento. Si faceva strada così il tacito sentore che il dipinto non fosse che il tramite; anima che tramuta le forme intellegibili in materia, l’unicum dell’essere e del pensiero. Erano le tinte scure a impreziosire la stanza, il nero che nella pittura non è mai nero.

Il peso delle ginocchia spinge a terra, c’è un accasciarsi sulle proprie gambe che preme. È la condizione umana di vivere innumerevoli viaggi dentro una stanza. Passo dopo passo.

Così la condizione favorita per assaporarne l’intimità era la penombra. Quando il crepuscolo silenziava le luci erubescenti del tramonto e lunghe zone d’oscurità si ramificavano sul pavimento e sui muri. Dal soffitto affioravano sentori di buio; diagonali di nero occludevano gli angoli, poi si facevano avanti come non temessero più gli spazi aperti. L’assedio si faceva più stretto, non restavano che sporadiche vie di fuga sotto le porte, attraverso le serrature, dalle finestre. Il contorno cinabro delle Alpi si spegneva. Il cielo per poco sarebbe stato ancora sfondo, poi si sarebbe uniformato all’orizzonte.

Lorenzo si era avvicinato a lei e poteva sentirne il profumo vanigliato del balsamo per capelli. Lei teneva gli occhi fissi sul pavimento, in segno di sottomissione. Piaceva ad entrambi quel gioco mascherato da convenzione: Irina gli dava tutta se stessa, metteva nelle sue mani la propria volontà. Voleva essere un dipinto, tracce di pittura, un segno sulla tela privo di coscienza.

In casa l’inconfondibile odore della sua presenza. Veniva a farle visita ogni giorno, eccetto i sabati e le domeniche che riservava alla moglie.

Voleva essere dipinta, capovolta, dissanguata, purgata dell’anima, resa bambola. Il sentirsi sdoppiata tra realtà e immaginazione la faceva sentire come una bambina con una bambola tra le mani, mentre gioca a denudarla, a farle compiere i primi passi solitari, a interagire con un mondo per giganti, dentro un corpo da donna e con lo spirito di un’infante; mentre prova per la prima volta a immaginarsi adulta, a baciare l’aria e poi quella bocca di plastica, poco importa se maschio o femmina, in fondo è pur sempre un bacio, pur sempre una bocca, pur sempre un gioco.

Le sensazioni enfatizzate dall’emotività rimandavano sentore di arti avvinghiati gli uni agli altri, tepore di sangue, umidi secreti vaginali e saliva, odore di pelle, di capelli.Il corpo tornava ad essere nulla, un pensiero in potenza, forse, avviluppato al codice genetico di tenaci e inconsapevoli vettori di vita.

«Sii anche tu bambola. Giochiamo con l’età che sconvolge i piani al pensiero lineare dell’esistenza, che segna e incide il concetto amorfo di vita, che si fa beffe dell’identità peritura e fa di noi persone, semplici maschere. Mutevoli, inconsistenti, vane» aveva sussurrato all’orecchio di lui e subito ne aveva avvertito l’eccitazione. Egli l’aveva Nuda-pelle-di-Tania-Bocchino_su_vertical_dynpresa in braccio e stretta con forza prima di condurla sul letto, sotto La Morfinomane di Vittorio Corcos. Forse era la stanchezza che appesantiva gli arti a fargli preferire il materasso alla durezza del fratino, o forse era dolcezza, una dolcezza imprevista che gli suscitava la sola vista di lei.

Lei stava in silenzio, un silenzio interrotto da brevi gemiti. Sentirsi intrappolata con tale veemenza sotto il corpo di lui le dava piacere. La eccitava l’idea che il corpo potesse divenire un’opera d’arte. E vivere anche dopo la morte. Alla mercé di spettatori sgomenti. «Hai mai pensato alla serenità?» egli aveva domandato. «Sì, innumerevoli volte».

estratto da Nuda Pelle