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Chi nel bilancio si sbilancia…

Odio fare bilanci, soprattutto se si tratta di valutazioni relative all’anno appena trascorso. Un manipolo di stagioni che la mia mente ha risucchiato come fossero linfa, nutrienti insostituibili. Qualcosa che non c’è più ma che, in fondo, non è mai scomparso, perché è stato assorbito dal sangue, ne ha permeato ogni cellula, l’ha sfamata e ne ha impresso la memoria, sicché d’ora in poi farà parte della sua vita. Fino alla morte o fino all’oblio. Ma che ne è stato di quelle stagioni?

Due anni dall’inizio della mia Vita Indipendente, ventiquattro mesi di passi – reali, un piede dopo l’altro – verso l’agognata autonomia. Una convivenza sepolta, un’altra germinata. Un amore consumato sul finire del giorno, il sesso sperimentato per sperimentare il corpo e far volare la mente. Sì, perché se i pensieri si fanno leggeri, anche la forza di gravità si fa lieve, rinuncia ad appesantire gli arti, lì libera nell’aere. E quando cala la notte e le ombre si fanno dense come inchiostro, il piacere scalza la paura, la piega al suo volere.

Il secondo anno nella nuova casa, qualche pezzo d’arredo in più a distinguerla: uno specchio, un divano, un lampadario… Poco alla volta la casa sta assumendo le sembianze che avrei voluto attribuirle. Lentamente.

Dsmiley-150658_1280ue anni di Vita Indipendente. C’è chi mi ha domandato, con vivo interesse, tra una sigaretta e l’altra: “Come ti trovi nella nuova casa?

Eh…Come mi trovo? Mi chiamo! E se non mi sento, mi faccio squillare il telefono… 

Is there any problem?

Ore 20.00. Alle prese con la cottura della cecìna per la serata Madrina-Figlioccia, ricevo una telefonata da un call center. Tengo a far notare che preparare una buona cecìna è un po’ come eseguire un intervento di microchirurgia: serve polso fermo e sangue freddo. Perché la cecìna l’è subdola! La ricetta potrebbe trarre in inganno: farina di ceci, acqua q.b. olio e sale. Tuttavia, è quel “q.b.” a fare la differenza. Troppo la annacqua e troppo poco la pietrifica. Per non parlare della cottura in forno che va monitorata come si fa con le funzioni vitali di un paziente in sala operatoria. La mia prima cecìna, riecheggia tra le memorie storico-canavesane, è l’apotropaion delle massaie, la temuta alternativa all’andare a letto senza cena dei bambini capricciosi;  si narra che il suo ricordo venga addirittura usato a scopi motivazionali con chi pensa d’esser nato sotto una cattiva stella. Quindi, possiate comprendere la delicata situazione in cui mi trovavo.

Ma torniamo alla chiamata dal call center: “Buonasera sig.ra, chiamo dall’azienda […] per conto di […] avrei piacere di offrirle…”

Lancio uno sguardo alla teglia dentro il forno, e con un cenno della mano invito la mia assistente a fare altrettanto. Ogni minuto che passa può essere fatale.

Hello! Let’s do fast, please. I’m very busy!” Intanto sollevo gli occhi all’orologio appeso al muro.

Dal telefono si ode un lamento, un’emozione malcelata: “Ehm, ehm…hmm…ehm, You…You…Do You…Do You speak Italian?” keep-calm-cuz-there-s-no-problem

No, sorry…” (La finta voce affranta è il mio cavallo di battaglia. Sono subdola come un pelo di gatto infilato tra le maglie di un cardigan. O come la cecìna nel forno.) Silenzio. Poi quello che sembra un sorriso imbarazzato: “Ehm, ok…ehm, ops! Ok…Good night…

Cazzo! Mi hai strappata alla mia creatura per un “Buonanotte”? Infierisco: “Oh! Here it’s morning…

Altro silenzio. Infine una risatina che nulla ha da invidiare all’isteria: “Ah…ehm, ah…” Sopraffatta, non le resta che tagliar corto con un “Bye, Bye!” e poi riagganciare.

La domanda ora è d’uopo: quanti mesi in un centro di Salute Mentale le avrò regalato?

Se tabacco e Venere riducon in cenere…

Seduta sotto il gazebo, nel giardino di casa, in mezzo alle begonie e alla verbena, mi ritrovo a soppesare quest’estate che sta volgendo al termine. La meta del prossimo viaggio è ormai decisa, non resta che trovare un’offerta vantaggiosa per le mie tasche da squattrinata.i-havent-been-everywhere-but-its-on-my-list-2 Certo, se avessi maggiori possibilità economiche vorrei spingermi oltre i confini che la malattia prima e le difficoltà finanziarie poi hanno sempre tenuto a distanza, come un orizzonte irraggiungibile. Tuttavia, l’indole irrequieta che mi distingue rende, ai miei occhi, più desiderabili i tragitti impervi e gli ostacoli insormontabili. Gli orizzonti che rapidamente diventano approdi non suscitano in me lo stesso fascino di un eremo in cima ad una ripida scalinata o di una frontiera chiusa da un categorico divieto d’accesso.  Ci sono luoghi che la mia condizione fa apparire preclusi, e per questo motivo si trasformano in mete allettanti. So che prima o poi, in qualche modo, li raggiungerò.

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